IL BANCONE DEL BAR

di MASSIMO CIRRI biografia
due sorsi di confidenze Vendere e comprare
- Allora, si vende? - Più che vendere, si è venduto. - Te sei più per vendere o più per comprare? - Ma che domanda è? Se c’è da vendere si vende.
Se c’è da comprare si compra.
- Ma che risposta è? Ti sei venduto i lobi frontali?
- Volevo dire, raffinato intellettuale dei miei
cabasisi, che vendere e comprare dipende
dalle circostanze.
- Tutto dipende dalle circostanze.
- Giusto. Ma fai uno sforzo e seguimi nel ragionamento: tu sei
di radice contadina, come famiglia. Vero?
- Vero. E anche fiero di esserlo. Nonno contadino, padre operaio,
io diplomato.
- Io uguale. Come mezz’Italia che è passata dalla terra all’industria
e poi ai servizi. Questo è il punto.
- E che c’entra? Facciamo uno Speciale Superquark sull’abbandono
delle campagne nel dopoguerra?
- C’entra perché vendere e comprare noi ce l’abbiamo nell’antropologia.
- Dov’è che ce l’abbiamo? Spiegami bene, Pieroangela.
- Vuol dire che per te vendere è sempre un problema. Qualcosa
che ti turba. è una questione mentale. Perché ti porti
dentro un pensiero così.
- Dimmi, dimmi. Spiegami te quello che penso io. Ti manca
il maglioncino celeste e poi sei uguale preciso a Paolo
Crepet.
- Te invece mi sembri la Prestigiacomo da Floris, che sai solo
interrompere.
- Piano con le parole. Continua.
- Allora noi ci portiamo dentro l’idea che vendere è sempre
un problema. Perché allora, da contadini, si vendeva solo
quando non se ne poteva fare a meno. Quando si aveva l’acqua
alla gola. Se c’era difficoltà. Sennò si comprava. “Se le
cose vanno bene si compra, se vanno male tocca vendere”,
questo era il discorso.
- Una questione di mentalità?
- Si. Anche se poi non era mica sempre così. Mio nonno aveva
venduto un podere, su in collina, per avere i soldi e comprarne
un altro. Più vicino a casa e che rendeva di più.
- Un investimento per il futuro?
- Lui diceva così. Anche se futuro è una parola moderna. Lui
lo chiamava domani.
- Come sei profondo.
- E ho preso un analcolico. Vedessi cosa ti tiro fuori dopo un
Negroni.
- E per tornare a tuo nonno: il futuro? Ci sarà il futuro? Noi
stiamo qui a discutere di vendere e comprare e se poi il
mondo finisce nel 2012?
- L’hai visto in televisione, Voyager? Con quello là...
- Giacobbo. Secondo lui tiriamo il 2012 e poi morta lì: arriva
la fine del mondo.
- Ma perché proprio il 2012? Non fa neanche cifra tonda.
- è il calendario Maya. Inciso su pietra migliaia di anni fa ma
preciso al millimetro.
"Ci sarà il futuro? Noi stiamo qui a discutere di vendere e comprare e se poi il mondo finisce nel 2012?"
- Giacobbo è l’unico che in ufficio tiene appeso
alla parete il calendario Maya invece di
quello della Ferilli. Tu ce l’hai sempre la Ferilli
o sei passato alla Casalegno?
- Lascia perdere, che c’entra. Il calendario
Maya mette la fine del mondo al 2012. E non è il solo. Devi sapere che sul 2012 convergono
un numero impressionante di segnali.
La costruzione delle piramidi di Giza e della
Sfinge, così come quella di templi cambogiani
e andini, oltre ovviamente alla piramide Maya di Kukalkán,
sembrano legate da un misterioso filo rosso. Lo stesso
filo che riemerge dalle letture esoteriche della Genesi o
dell’I-Ching, dalla profezia dei teschi di cristallo e da quelle
di Malachia e Nostradamus. Senza contare che le ultime
scoperte scientifiche ci documentano che la terra sta rallentando
la sua evoluzione, il suo campo magnetico si sta
indebolendo, lo strato di ozono si sta assottigliando, l’intero
Sistema solare si sta riscaldando. Questo dice in sintesi Roberto
Giacobbo
- E allora?
- E allora: il mondo finisce il 21 dicembre 2012, anche se non
si sa l’ora esatta. Questo porta con sé due cose. La prima:
posso risparmiarmi i regali di Natale 2012, che sono sempre
uno sbattimento.
- La seconda?
- Non sarà il caso di chiedere l’anticipo del Tfr e goderselo
tutto da qui al 21 dicembre 2012, senza pensare al domani.
- E se fosse un pacco?
- Giacobbo o il Tfr?
- Più Giacobbo.
- Probabile. Ma anche il Tfr...
- E per tornare al vendere e al comprare: comprare abbiamo
comprato parecchio, qua in cooperativa.
- Adesso però abbiamo venduto. La MSA.
- E ti dispiace?
- Un po’ si.
- Perché vendere vuol dire separarsi. Allora viene fuori un po’
di nostalgia.
- Senti, rimanendo in televisione: sul sito della cooperativa
c’è il video del presidente Levorato che spiega la questione
della MSA. L’hai visto?
- No. Com’è?
- Dice che per crescere bisogna concentrarsi su un settore
specifico. Si vende per investire.
- Che effetto ti ha fatto?
- Rassicurante. Però...
- Però?
- Il presidente rassicurante. La sua cravatta invece non l’ho
ancora capita.
- Com’è?
- Nera con i geroglifici bianchi. Di certo non mi ha lasciato
indifferente. Casomai stasera me la riguardo.
- Non è che se la vede Giacobbo, una cravatta così, ci costruisce
sopra tutta una sua teoria.
- Il rischio c’è.
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