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Sei in: webAmbiente / numero 4 - 2009 / Uguali

UGUALI

Tutti i sentieri dello spirito
Il lavoro che “libera”

Nicolini

Di Don Giovanni Nicolini
biografia

Fondamento del nostro vivere civile, il lavoro è divenuto strumento di “conquista” per ottenere una condizione umana più dignitosa e meritevole. Molti cittadini stranieri nel nostro paese hanno trovato una collocazione professionale accettabile intervenendo dove la nostra società, apparentemente evoluta, ha lasciato dei preoccupanti vuoti, come per esempio l’assistenza agli anziani. Per questo il loro contributo deve essere valorizzato, al di là del doveroso riconoscimento economico.

Facciamo ancora qualche passo insieme nella riflessione sul tema del lavoro che nel nostro precedente intervento abbiamo considerato nella sua collocazione privilegiata come primo tra gli articoli fondamentali della nostra Carta Costituzionale, redatta con l’avvio della Repubblica e successivamente alla dittatura fascista, alla monarchia e al dramma della Seconda Guerra Mondiale. Da quel primo articolo che stabilisce come la Repubblica sia fondata sul lavoro scaturisce una conseguenza di grande valore, e cioè il rapporto tra lavoro e cittadinanza.

Uguali

Se è vero che la “fatica” di ogni persona è importante per la convivenza civile, è evidente come chi esercita il proprio lavoro meriti un riconoscimento che lo renda degno di tutto quello che la nostra società può offrire ad ogni cittadino. Abbiamo purtroppo assistito ad un progressivo degrado di questi grandi principi e alla riduzione del lavoro da grembo di cittadinanza a merce di mercato. In particolare, la popolazione proveniente da altre terre si trova in difficoltà crescenti proprio nel rapporto tra lavoro e permesso di soggiorno nel nostro paese. Anche il trattamento di favore concesso alle signore che offrono il loro servizio presso i nostri anziani, e che con termine spiacevole sono chiamate “badanti”, mi sembra inopportuno e in ogni caso esemplificativo del degrado in cui versa la condizione del lavoratore.

“Per molti il lavoro è addirittura terapia. È l’unica possibilità per uscire da un isolamento forzato che umilia la vita delle persone”

È ragionevole che per queste persone si sia usato un trattamento di favore, ma lo si è fatto perché il loro servizio, del tutto sproporzionato per una vita che voglia dirsi dignitosa...ci fa comodo! Dunque, le trattiamo bene perché ci servono. Non ci servissero, le tratteremmo male! E con quali criteri viene valutata questa utilità? Qui però si entra in uno spazio che non è solo quello del lavoro offerto da persone di nazionalità straniera. Qui ci troviamo in una cultura del lavoro che persino le nostre forze sindacali non sempre sembrano aver conseguito. Faccio un esempio per tutti. È noto come sia difficile oggi “legalizzare” il lavoro. Come sia facile trovarsi in spazi dove anche il tentativo più disinteressato di aiutare le persone ad inserirsi nel nostro sistema si trovi bloccato da regolamenti di impossibile applicazione.

Io stesso sono stato costretto ad estinguere una piccola esperienza che per anni ha collegato il bisogno di lavoro femminile con la solitudine degli anziani che chiedono assistenza. Non ci si rende conto che il lavoro non è solo spazio di giuste rivendicazioni e luogo di ingiusti sfruttamenti. Per molti il lavoro è addirittura terapia. È l’unica possibilità per uscire da un isolamento forzato che umilia la vita delle persone. Non si tratta con giustizia il lavoro se lo si considera nella sola ottica di interpretazione e di legalità.

La società complessa nella quale viviamo esige una nuova cultura del lavoro, che sappia interpretare la complessità della vita sociale. Lo stesso prolungamento dell’età lavorativa non può ignorare la doverosa proporzione tra l’età del lavoratore e le sue possibilità di impegno. Mi sembra che i lettori di questa pubblicazione potrebbero essere gli interpreti e i propositori migliori di nuove attenzioni e di nuovi giusti indirizzi. Sarebbe bello che di queste cose si potesse parlare insieme!

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