di Giancarlo Strocchia
Sandra, una storia di tenacia e passione

Dopo 44 anni di lavoro e una carriera in Servizi Ospedalieri Sandra Cavallini va in pensione: “partendo dal gradino più basso ho avuto modo di passare attraverso ogni genere di esperienza, conoscendo approfonditamente le dinamiche di questo mestiere per cui non esiste una scuola”.
C’è un fil rouge che attraversa ogni intervista. Nel caso di Sandra Cavallini il tema conduttore è quello dell’emozione. Quando parliamo è il suo primo vero giorno da pensionata. “Devo dire che ho provato un po’ di smarrimento e non vorrei ritrovarmi a fare i conti con la noia”. Si tratta ovviamente solo di quella inevitabile percezione di vuoto che segue 44 anni di lavoro, gli ultimi 15 vissuti presso lo stabilimento di Servizi Ospedalieri, a Ferrara, sua città natale, ma che presto sfumerà nei mille interessi che Sandra saprà crearsi. Un percorso professionale partito dal basso, intenso, tenace, governato dalla passione e dalla solidarietà con colleghi e colleghe, soprattutto nell’ultimo drammatico anno di pandemia.
“Io in pensione non ci sarei andata, ma il momento era propizio, e poi prima o poi bisogna decidersi, e ho fatto il grande salto”. Passaggio che è avvenuto nel più classico e suggestivo dei modi. “All’improvviso, l’ultimo giorno di lavoro è scattato l’allarme di evacuazione dello stabilimento. Io sono arrivata trafelata all’esterno dell’edificio e ho trovato tutti i colleghi a salutarmi e applaudire, un’emozione incredibile, ancora piango a pensarci”.
Sandra, come sei arrivata a lavorare in lavanderia?
Avevo 16 anni, ero molto ribelle e decisi che non
avrei più continuato a studiare. Unica figlia femmina,
suscitai le ire di mio padre che mi stava preparando
la strada per un impiego comunale. Iniziai con un
primo impiego stagionale di sei mesi, poi la moglie
di un collega di mio padre mi invitò ad andare a lavorare
con lei in una lavanderia allestita in un garage.
Un vero incubo ma che mise alla prova la mia forza
di volontà. Da qui sono passata ad una lavanderia
più grande, la Altamira, e poi ancora alla Fleur che
venne ad un certo punto assorbita dalla Copman, e
infine l’arrivo provvidenziale di Manutencoop.
Qual è stato il tuo percorso professionale?
Lungo e fatto di tenacia e passione. Partendo dal
gradino più basso ho avuto modo di passare attraverso
ogni genere di esperienza, conoscendo approfonditamente
le dinamiche di questo mestiere per
cui non esiste una scuola. Per tutto questo devo
ovviamente ringraziare la fiducia che molte persone
hanno riposto nei miei confronti, innanzitutto Massimiliano
De Marco, e poi tutti i colleghi di Servizi
Ospedalieri, il management di Rekeep e, non ultima,
Rossana Trenti che ha visto in me potenzialità che
io stessa non riuscivo a percepire e grazie alla quale
sono arrivata a coprire il ruolo di responsabile di organizzazione,
capace di gestire i turni di tutti i dipendenti.
Sicuramente non avrei immaginato di arrivare
a raggiungere certi risultati ma posso dire di averci
messo il cuore in questo lavoro, che ho imparato ad
apprezzare e di cui tuttora sono innamorata.
Cosa ha significato l’arrivo di Manutencoop?
Ha significato un salto di qualità aziendale eccezionale.
Più organizzazione, più ordine, un’attività
svolta in base ad obiettivi precisi, nuove tecnologie
e maggiore professionalità. Quando l’azienda è arrivata
noi eravamo in grado di lavorare non più di 100
quintali di materiale al giorno. Da qui, per passaggi
successivi, siamo arrivati a lavorarne ben 430 Quintali
in un solo turno. Certo, sono cambiate tante
cose, in azienda sono entrati i computer, le mansioni
si sono evolute, abbiamo iniziato a parlare di statistiche,
programmazione, nuova managerialità, ma io
ho sempre avuto gran voglia di lavorare e imparare,
e questo atteggiamento è stata la mia fortuna. E poi
mi piace ricordare un retroscena significativo. Quando
comprai la casa in cui vivo tuttora dovetti chiedere
un mutuo e fu proprio Manutencoop a farmi
da garante. Non so quante altre aziende avrebbero
fatto lo stesso.
E il rapporto con i colleghi?
Bellissimo, basato sulla lealtà ma soprattutto su una
grande umanità. A me è stato insegnato che viene
prima la persona del professionista. Anche quando umane, e anche molte, ho sempre fatto prevalere
l’aspetto umano e un atteggiamento di comprensione
e empatia. Figli o problemi familiari e di salute
hanno sempre avuto la precedenza sul lavoro, e se
c’era da aiutare qualcuno perché fuori dallo stabilimento
la situazione era critica allora si pensava prima
a risolvere il problema all’esterno e poi si proseguiva
a lavorare con maggiore serenità.
Come hai conciliato vita professionale e famiglia?
Con tanta pazienza e l’aiuto di genitori ed ex suoceri
quando serviva una mano per tenere mio figlio Mirko.
Anche da parte sua ho ricevuto molta comprensione.
Ricordo ancora il discorso che gli feci quando
mi proposero il salto di carriera.
Lui aveva 15 anni, lo presi da una parte e gli spiegai
che se avessi accettato avrei avuto sicuramente
meno tempo da dedicare a lui ma che avremmo avuto
una situazione economica migliore e quindi una
maggiore sicurezza anche per lui. Fu molto bravo e
devo anche a lui se ho potuto compiere il cammino
professionale che ho fatto.
Ti ricordi un episodio particolare legato alla
tua vita professionale?
Beh, in realtà si tratta di una vicenda che collega vita
d’azienda e vita privata. Per molto tempo non sono
riuscita a prendere la patente. Nonostante la mia forza
di volontà e la mia caparbietà la guida della macchina
mi creava molta ansia fino quasi a procurarmi
veri e propri attacchi di panico. Fino a quando venni
messa alle strette. Se volevo intraprendere la carriera
che mi veniva prospettata avrei dovuto essere indipendente
negli spostamenti, e quindi poter contare
sulla possibilità di avere una macchina.
Bene, fu questa la molla giusta e alla fine anche la
patente arrivò.
Sandra come hai vissuto questo ultimo anno
così difficile?
Se devo essere sincera, ho più timore adesso che in
occasione del primo lockdown. Da un punto di vista
professionale, è stata molto dura.
Avevamo tutti molta paura ma nello stesso tempo
eravamo consapevoli del fatto che anche il nostro
contributo era fondamentale in un frangente drammatico
come quello che abbiamo vissuto e che stiamo
tuttora attraversando. C’è chi è stato male e noi,
con le lacrime agli occhi, abbiamo continuato. E poi
siamo stati molto seguiti e protetti dall’azienda.
Abbiamo ricevuto sin da subito i dispositivi di sicurezza,
le postazioni di lavoro sono state distanziate e
protette dai separatori in plexiglas, siamo stati tutti
tamponati e anche molto attenti, ma quanta fatica!
Come immagini adesso il tuo futuro?
Per una persona attiva e dinamica come me l’ozio
non è contemplato. E quindi, sperando che questa
situazione di restrizioni passi presto, ho già pensato
che vorrei iniziare una scuola di inglese e anche andare
in palestra.
E poi, confesso, vorrei proprio godermi dei bei nipotini.
Purtroppo, causa emergenza sanitaria, mio figlio
e la sua fidanzata, infermiera in un reparto Covid,
hanno già rimandato tre volte il proprio matrimonio,
ma presto, sono sicura, coroneranno il loro sogno, e
io quindi mi preparo con gioia a fare la nonna.
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