di Giancarlo Strocchia
Quando comprammo l’Inter...

La storia di Giuliano Di Bernardo all’interno di Manutencoop, dove oggi ricopre la carica di vicepresidente della cooperativa, parte, come spesso accade, da una apparente casualità. Oggi, al ricordo di quella chiacchierata, Di Bernardo si ritiene un uomo fortunato. Tanti i bei ricordi ma anche momenti in cui è stato necessario operare scelte dolorose.
I percorsi, nella vita, possono prendere direzioni inaspettate. Magari ci si ritrova a cambiare rotta “solo” perché un luogo non ci attrae e, in seguito a scelte apparentemente banali si dischiudono opportunità inattese.
È quello che è successo a Giuliano Di Bernardo, che a causa della sua avversione per Milano ha incontrato il mondo della cooperazione e, ad un certo punto, inevitabilmente si è imbattuto in Manutencoop.

Oggi è vicepresidente, ma quali sono stati i suoi inizi in azienda?
Sono arrivato in questa azienda, si può dire, per caso, senza una vera motivazione che mi guidasse. Svolgevo mansioni di natura commerciale all’interno di importanti società editoriali con la prospettiva, che volevo evitare per una mia avversione personale, di trasferirmi a Milano. Io, che sono per mia indole molto attaccato agli ambienti familiari, decisi di cambiare completamente lavoro. Alla ricerca di una nuova opportunità professionale ho avuto l’occasione di iniziare la mia carriera in cooperativa, prima in Cns e poi, dopo un incontro molto significativo con Levorato, qui in Manutencoop, dove mi sono trovato bene sin da subito e dove ho proseguito il mio cammino di crescita.
E a distanza di un po’ di anni da quel “cambiamento” quali convinzioni ha sviluppato?
Oggi, più di ieri, sono convinto della bontà della mia scelta d’allora. Del resto esiste un filo rosso comune che lega la figura dell’imprenditore a quella del cooperatore imprenditore. In entrambi i casi si sceglie di dare soddisfazione ad una esigenza precisa, che nel caso dell’imprenditore è quella di attrezzare un’azienda per creare utili da ridividere tra i soci, mentre per il cooperatore è quella di creare nuova occupazione, dar lavoro alle persone. Sono le finalità che cambiano, o i soldi li tieni o li investi.
Qual è l’elemento che le ha destato maggiore emozione in questi anni.
L’episodio che mi ha suscitato una emozione positiva è legato all’acquisizione, qualche anno fa, della Pirelli RE. Ho pensato alle tante nostre operatrici delle pulizie che, in qualche modo, erano riuscite a conquistare il colosso milanese dell’immobiliare. Mi è sembrata una immagine molto suggestiva: le signore che si recano da Tronchetti Provera con un assegno in mano dicendo “sei uno di noi”. Nella stessa occasione, ma con intenti completamente diversi, mi ricordo un sms inviatomi da Francesco Bottino, storico collega della Promozione e Sviluppo, con scritto: “Abbiamo comprato l’Inter”.
E sul versante negativo cosa ricorda?
Ricordo bene quando abbiamo deciso di vendere Manutencoop Servizi Ambientali.
SE FOSSE
UN LIBRO...
“Altai” (2009)
scritto da Wu Ming
Romanzo storico ambientato tra le “venezie mediterranee” scritto a più mani dal collettivo del Luther Blissett Project.
Avevamo compiuto molti sforzi e investimenti economici per presidiare quello che ritenevamo una possibile area di business in linea con la mission della cooperativa; successivamente fummo costretti a prendere atto che si trattava di un mercato che non esisteva più.
Non potevamo sopportare più di investire capitale in un mercato che andava contraendosi. Purtroppo In quella azienda operavano lavoratori che avevano condiviso con me l’esperienza in Manutencoop. Dovevamo però trovare il coraggio di fare delle scelte con prospettive diverse, con possibilità di creare nuova occupazione. Il coraggio del cooperatore, in questo caso.
La crisi sta falcidiando duramente l’imprenditoria italiana. Come avete reagito voi?
Prima abbiamo parlato di differenza tra imprenditore e cooperatore. Le nostre aziende, tra le altre cose, sono costrette a patrimonializzare i profitti perché per statuto non è possibile distribuire dividendi. Grazie a questa regola le nostre aziende oggi sono più attrezzate per affrontare i momenti di crisi come quello che stiamo vivendo. Per questo ci consideriamo un’impresa innovativa e moderna, anche se innestata in un “terreno” di tradizione.
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