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Vite da campione
Cheli, dall’Appennino allo spazio

Rubrica Tarozzi

di Marco Tarozzi
biografia

Lassù in Appennino, in certe notti stellate, ci si sente davvero più vicini al cielo. Maurizio Cheli ha iniziato a sognare nella sua Zocca, da ragazzino, ma poi quei sogni li ha inseguiti e coltivati, fino a diventare uno dei pochi al mondo che possono dire di aver guardato la Terra dallo spazio. Uno che ha volato e volato, restando sempre coi piedi per terra. Un astronauta, come quelli che vedeva in bianco e nero alla tv, eroi della sua generazione.

Quella che ha visto lo sbarco sulla Luna, vivendolo come il più grande degli eventi. La sfida infinita tra americani e sovietici, l’attesa in quel luglio del ’69, la sensazione di essere testimoni della storia. Ricordo che a sette anni avevo ben chiaro quello che sarei diventato da grande. Tre opzioni: camionista, pompiere o pilota di aerei. Ho seguito l’istinto, subito dopo il liceo sono entrato all’Accademia e qualche anno più tardi sono diventato prima pilota operativo e poi pilota collaudatore dell’Aeronautica Militare”

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MAURIZIO CHELI

Nato a Modena il 4 maggio 1959, è cresciuto a Zocca.
Nel 1978 entra all’Accademia Aeronautica di Pozzuoli dove si laurea in Scienze Aeronautiche. Nel 1988 è primo all’Empire Test Pilot’s School di Boscombe Down, nel Regno Unito, e diventa pilota collaudatore sperimentatore di velivoli ad alte prestazioni. Nel 1992 entra alla European Space Agency (ESA): inviato al Johnson Space Center di Houston della NASA, nel 1996 a bordo dello Space Shuttle Columbia partecipa alla missione STS-75 ricoprendo, primo italiano, il ruolo di Mission Specialist. Nel 2005 ha fondato CFM Air, start up che si occupa della progettazione di velivoli leggeri avanzati, e l’anno seguente DigiSky che sviluppa elettronica di bordo per velivoli sportivi. Laureato in Ingegneria Aerospaziale all’Università di Houston nel 1994 e in Scienze Politiche all’Università di Torino nel 2004, ha all’attivo oltre 380 ore di attività spaziale e più di 5000 su oltre 100 tipi di velivoli diversi.

Addosso una inesauribile voglia di conoscere. Lo studio porta la prima di tre lauree, in Scienze Aeronautiche. Il destino gli apre una “sliding door” inattesa, nel modo apparentemente più banale: il ritaglio di un giornale.

Il mio mestiere mi piaceva, ma è arrivato il giorno in cui mi sono imbattuto in un avviso di concorso pubblico. “Cercasi astronauti”, a grandi linee le parole erano quelle, anche se certamente non era un lavoro semplicissimo da ottenere. Ho mandato il mio curriculum, ho fatto tutta la trafila di test ed esami. Il progetto aveva dimensione europea, eravamo seimila candidati per sei posti. Alla fine, uno dei sei prescelti ero io”

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Nel 1992, dopo essere entrato nell’ESA (European Space Agency), Maurizio Cheli varca i cancelli del Johnson Space Center di Houston. Entra nel mondo della NASA, quello che guardava alla tv come tanti ragazzi cresciuti negli anni Sessanta. Quattro anni più tardi, nel 1996, è a bordo dello Space Shuttle Columbia per partecipare alla missione STS-75 Tethered Satellite, Vent’anni dopo, i ricordi sono fotografie ancora coloratissime.

È stato tutto incredibile, dal momento in cui sono entrato in quel mondo. Lo avevo mitizzato e ne ero diventato parte, scoprendone la realtà. Volare nello spazio, dal punto di vista delle emozioni, è un “volare al quadrato” in cui impegni davvero tutti i sensi. Voli col tuo corpo, dentro la navicella, e nello stesso tempo con la navetta intorno alla terra. Dal punto di vista tecnico, il fatto di essere stato prescelto come “Mission specialist” mi ha aperto la strada ad una preparazione complessa, che andava al di là delle semplici operazioni legate ai sistemi di sopravvivenza e vita di bordo, ma che riguardava la vera e propria gestione del velivolo”

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Mille e più momenti da tenersi dentro per la vita intera. Ma un paio, anche dopo vent’anni, riaffiorano all’istante.

La prima immagine: una volta arrivati in orbita, uno dei primi compiti era aprire le porte della stiva di carico dello Shuttle. Ho dato il comando e poco alla volta mi si è aperta davanti agli occhi questa meravigliosa immagine della Terra, tutta blu sullo sfondo nero dello spazio, un flash fotografico che non dimenticherò mai. La seconda, nella fase di rientro, che si effettua nella “parte notte” della Terra, rallentando solo per attrito da 28mila a 350 chilometri orari. Il che significa trovarsi in una vera e propria palla di fuoco per una decina di minuti, essere nella cabina di pilotaggio e vederla avvolta da fiamme multicolori, dal rosso al bianco al viola più intenso, uno spettacolo incredibile”

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Ci vuole fortuna, certo, ma anche la forza di sentirsi pronti quando c’è da prendere una decisione. Senza voltarsi indietro, dopo.

Gli anni da astronauta, il volo nello spazio. E quelli che sarebbero potuti arrivare dopo. Ma proprio in quel 1996, pochi mesi dopo la missione, un’altra virata decisa. Maurizio Cheli deve scegliere: restare a Houston o tornare in Italia, dove gli offrono di diventare l’uomo-guida di un progetto nuovo di zecca.

Potevo tornare lassù, ma sull’altro piatto della bilancia ho trovato un velivolo da seguire in tutto il suo sviluppo, dalla nascita alla produzione. Non posso dire di non aver avuto dubbi, ma sono sempre stato attratto dalla novità, dal fatto di mettere a frutto nella tappa successiva quello che ho imparato in quella precedente. Così, per quindici anni ho scelto di sviluppare il progetto dell’Eurofighter Typhoon, a Torino. Per un pilota collaudatore trovare un aeroplano nuovo da mettere a punto è un’occasione incredibile, che vale quasi quanto un volo nello spazio. Nella mia carriera mi sono fatto spesso domande, anche di carattere etico. Me le sono fatte fin dall’inizio, quando sono entrato in Aeronautica Militare. Ma io volevo volare e non avevo mezzi per farlo diversamente. Ai miei tempi il mondo era bipolare, c’era un equilibrio di forze; oggi è completamente cambiato, anche le scelte delle persone devono essere più consapevoli di quelle che ho affrontato io allora”

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Alla fine, il ragazzo che sognava guardando il cielo sopra Zocca le ha raccontate anche in un libro, queste sue virate dell’esistenza. Lo ha chiamato “Tutto in un istante”, e non a caso.

Noi inseguiamo i nostri obiettivi, ci impegniamo, studiamo, pianifichiamo. Ma poi arriva il momento preciso, il nanosecondo in cui spingi un bottone sullo Shuttle, o imbuchi una lettera per partecipare a un concorso, o devi prendere la decisione che ti cambia carriera e vita. Sono gli attimi in cui tutto si concretizza, devi avere la forza di scegliere e assumerti rischi. Anche quello di poter fallire. E serve passione: per me, la stessa che oggi mi ha portato a diventare un piccolo imprenditore aeronautico, con una start-up dove disegniamo, progettiamo, sviluppiamo e costruiamo velivoli sportivi ad alte prestazioni. Volevo raccontarle ai giovani, queste sensazioni.
In questo mondo ormai tutto sembra effimero, trovare capisaldi è importante perché quello che facciamo da ragazzi poi ce lo portiamo dietro, è la parte della nostra vita su cui costruiamo il futuro. Ci vuole fortuna, certo, ma anche la forza di sentirsi pronti quando c’è da prendere una decisione. Senza voltarsi indietro, dopo”

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