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Vite da campione
Palmisano, remare per rinascere

traduzione: eng | عربي

Rubrica Tarozzi

di Marco Tarozzi
biografia

Palmisano, remare per rinascere

Mario Palmisano è uno che lotta nella vita, proprio come faceva nello sport. Un leader, pieno di energia positiva. Uno che i valori della sua disciplina, il canottaggio, li trasmette e li insegna con passione. Autorevole e ascoltato: come dice Gigi Gianino, altro maestro di sport, “Quando parla Palmisano, è Cassazione…”

Napoletano trapiantato a Milano, innamorato ma mai nostalgico quando parla della sua terra d’origine, “perché è bella, ma quella bellezza si disperde nell’improvvisazione, che a volte può essere arte ma molto più spesso è spreco di opportunità e talento”, Mario ha regalato perle preziosissime allo sport italiano Protagonista assoluto di un decennio di storia del canottaggio, campione del mondo nel 2004 nella specialità del “due con”, due volte argento, nel 2005 e 2006, con l’ “otto”, imbarcazione con cui aveva già sfiorato il podio olimpico a Sidney 2000, cogliendo uno storico quarto posto. E ancora l’argento europeo nel 2010, i ventidue titoli italiani, oltre a cinque successi in una gara piena di fascino e suggestioni come la “Regata delle Antiche Repubbliche Marinare”.

Cinque anni fa ha chiuso con l’agonismo, e appena più tardi si è ritrovato in mezzo a uno di quegli incroci della vita che sparigliano le carte, mandando all’aria programmi e certezze e costringendo a ripensare anche la propria quotidianità. Spiazzato, sorpreso, ha incassato il colpo e ha vacillato, ma è rimasto in piedi e un attimo dopo ha deciso che c’era una sola via possibile. La stessa di quando remava per passione e gloria. Impegnarsi, reagire.

Alla fine del 2011 mi è stato diagnosticato un osteosarcoma alla spalla destra. Quando mi hanno dato la notizia, ho avuto un momento di sbandamento. Non sapevo che fare, era una gara diversa e inaspettata. Poi ho raccolto le forze e ho deciso di affrontare il problema. Con il carattere che ho coltivato facendo sport, con la stessa carica che a quindici anni mi permetteva di scegliere la strada della Canottieri invece che strade diverse, che avrebbero anche potuto essere sbagliate. La famiglia mi ha formato, lo sport mi ha fatto crescere ulteriormente. Con lo stesso spirito ho deciso di “andare addosso” alla malattia, provando ad assalirla prima che fosse lei ad assalire me. Me lo avevano detto subito, che era importante reagire. Ho deciso semplicemente di farlo. E ho attraversato un’esperienza delicata e intensa, ho dato nuovi valori alle cose, alle persone. Ho scoperto un mondo nuovo, e anche un nuovo Mario Palmisano”.

Mario Palmisano (quarto dalla fine) durante una competizione
Mario Palmisano (quarto dalla fine)
durante una competizione

Lo ha fatto a Bologna, affrontando dodici cicli di chemioterapia all’Istituto Ortopedico Rizzoli, dove opera l’Associazione Mario Campanacci, che studia e soprattutto cura i tumori muscolo-scheletrici. Ci ha messo dedizione, voglia di vivere. Non è partito battuto, ha lottato e ha vinto la sua battaglia, una medaglia più luminosa e importante delle altre. Perché non è solo un traguardo personale, ma contiene un messaggio di speranza.

Io non sono un guru, non voglio dare certezze che non provengano dalla ricerca e dallo studio. Ma credo nell’approccio positivo alle cose questo sì. Il corpo umano è una macchina incredibile. Io sono convinto che a “comandare” tutto sia la testa, e questa convinzione me la sono fatta ai tempi del canottaggio, quando in gara mi riuscivano cose che i lavori in allenamento, per quanto tosti, non spiegavano totalmente. È quello che ho sempre spiegato anche a chi mi ha chiesto e mi chiede anche oggi consigli sulla mia disciplina. Il cervello può farti affrontare in modo positivo anche qualcosa di terribile, come è capitato a me. Io gli ho affidato la mia voglia di reagire, di vivere, lui ha risposto e si è messo al lavoro”.

A disposizione di chi ha aiutato Mario in questo percorso, e a cui oggi lui vuole rendere per quanto è possibile. All’Associazione Campanacci, infatti, è dedicata la kermesse “Beat It” che Palmisano organizza all’Idroscalo di Milano, con la collaborazione di Canottieri San Cristoforo e Cus Milano. Una gara di Indoor Rowing aperta a tutti, professionisti e amatori: si voga in palestra e, come è successo nelle prime due edizioni, può capitare di trovarsi fianco a fianco a Max Rosolino, Carlton Myers, Maurizia Cacciatori.

Beat It significa “battilo!”. È un invito, un incitamento. Quando uno gareggia, deve sempre ricordare che la sua sfida è principalmente con sé stesso. Migliorarsi significa poter raggiungere traguardi a volte impensati, e vincere sfide che possono sembrare impossibili. A me è capitato. E adesso, con questa iniziativa, ho la possibilità di ripagare in qualche modo uno sport che mi ha insegnato tanto anche come uomo, e persone che si sono battute e sbattute per darmi nuove opportunità e salvaguardarmi il futuro”.

“BEAT IT”, TERZA EDIZIONE PER L’ASSOCIAZIONE CAMPANACCI

“Beat It Sprint Race” è andata in scena con la terza edizione il 20 dicembre alla palestra del Cus Milano, al bacino dell’Idroscalo. Una spettacolare gara di indoor rowing, rivolta a tutti gli sportivi di ogni età e livello. Il format della gara, 500 metri anziché i canonici 2000, consente a chiunque di gareggiare e provare l’emozione di uno sport antico e nobile come il canottaggio. I partecipanti sono divisi per categoria, dai più piccoli (13 anni) fino agli ultrasettantenni. L’incasso dell’evento sarà devoluto all’Associazione Mario Campanacci di Bologna, che da anni si occupa di assistere i pazienti del reparto di chemioterapia dell’Istituto Ortopedico Rizzoli e promuove attività finalizzate alla ricerca e alla formazione nel campo dell’oncologia muscolo scheletrica. “Persone di cui conosco passione e competenza”, spiega Palmisano, “che mi hanno aiutato a lottare. Ora tocca a me fare qualcosa di utile per la loro causa”.

Mario Palmisano oggi
Mario Palmisano oggi

Intanto, la nuova vita è ancora piena di sport. In qualche modo è partita da Central Park, dove il primo giorno di novembre Mario è diventato “finisher” alla New York City Marathon. Tagliando il traguardo in quattro ore, cinque minuti e due secondi.

Un giorno, nemmeno un anno fa, parlando di maratona dissi a Sara, la mia ragazza, che ero convinto che con impegno e costanza chiunque avrebbe potuto correrne una. Bene, mi rispose, allora scegliamone una ed iscriviamoci. Ho mandato la mia richiesta all’organizzazione della New York City Marathon, che era sempre stata un mio sogno anche quando facevo attività agonistica, e proprio a causa di quest’ultima non avevo mai potuto tramutarlo in realtà. Ero convinto che non l’avrebbero presa in considerazione, invece mi è arrivato a casa il numero, e a questo punto anche Sara se ne è procurata uno tramite un’agenzia. Se vai tu, mi ha detto, vengo anche io. La corsa è sempre stata parte del mio programma di allenamento, ricordo che La Mura, tecnico della Nazionale, ci faceva fare anche uscite di una ventina di chilometri. Ma questa volta la sfida aveva un sapore particolare. Un altro senso. Sono felice di aver fatto anche questa esperienza, è stata unica. Credo che la ripeterò, ora che so cosa significa una quarantadue chilometri”.

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