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Sei in: webAmbiente / numero 1 - 2015 / Il bancone del bar

IL BANCONE DEL BAR

Cirri Massimo

di MASSIMO CIRRI
biografia

due sorsi di confidenze
E tu, di che squadra sei?



- Ciao, come stai? Com’è andata oggi al lavoro?
- Bene, il solito. Niente di particolare. Ma mancava una persona della squadra e allora...
- Ecco, giusto, la squadra. Pensavo proprio a questo. Pensavo: il lavoro in squadra. Per esempio, secondo te, noi siamo una squadra?
- Noi chi?
- Io e te.
- Io e te?
- Si. Secondo te noi, qui, adesso, siamo una squadra?
- No.
- Perché no?
- Perché siamo in due, al bar, con uno comodamente seduto che sorseggia serafico il suo aperitivo e fa domande senza senso all’altro che è appena arrivato invece di chiedergli l’unica cosa che dovrebbe chiedergli se fossimo una squadra.
- Spiegati meglio.
- Cosa prendi?
- Niente, grazie, sto già bevendo un aperitivo. Più precisamente lo sorseggio serafico, come facevi notare tu stesso pochi istanti fa prendendo anche un po’ per i fondelli.
- Non cosa prendi tu; cosa prendo io...
- Tu prendi per i fondelli, sempre.
- Cosa prendo nel senso di cosa prendo da bere. Al bar. Siamo al bar, no?
- Sembrerebbe.
- E allora: cosa prendo da bere, io, al bar?
- E che ne so io cosa prendi tu? Prenderai il solito analcolico dolciastro con la ciliegina che spunta fuori... Quelle cose che bevi tu da uomo senza...
- Devi chiedermelo: “Cosa prendi da bere?” Funziona così, è una specie di regola. Non c’è scritto da nessuna parte, ma è una regola. Chiamiamola una regola della cortesia: quando due persone si incontrano al bancone de bar quello che è arrivato prima e sorseggia serafico il suo maledetto aperitivo chiede a chi arriva, dopo averlo salutato: “Cosa prendi?”.
- Gruff, tutto qui?
- Meglio ancora se riesce a farlo senza grugnire. Ma non si può pretendere troppo.
- E quindi?
- E quindi qui c’è la risposta che volevi: “Siamo una squadra?” No.
- Perché no?
- Perché una squadra, pensaci, è un gruppo di giocatori che partecipa a una gara. Una squadra di calcio, per esempio, o di ciclismo...
- O di pallavolo.
- O di pallavolo. Ma non starei qui a fare tutti gli esempi.
- Non è un esempio, è mia figlia.
- Hai messo al mondo una squadra di pallavolo? Con l’allenatore e la rete? Li hai tutti sullo stato di famiglia?
- Mia figlia: prima faceva nuoto, ma non le piaceva. Adesso gioca a pallavolo e le piace moltissimo. “Per via che siamo una squadra”, dice.
- Allora c’è speranza.
- In che senso?
- Per il futuro dell’umanità. Perché tua figlia capisce più di te. È l’evoluzione umana.
- È che a te piace prendere per i fondelli.
- È che la cooperazione è una dei pezzi dell’evoluzione umana. Lì c’è la differenza che piace a tua figlia tra nuotare, che è sport individuale, e giocare a volley. Uno sport di squadra.
- Ma tu non hai mai fatto uno sport in vita tua. Né individuale né di squadra.
- Lascia perdere e fai lo sport di pensare, allena il cervello: c’è la squadra di volley ma c’è anche la squadra di operai, o la squadra di pronto intervento. Si dice “fare squadra”, no? Vuol dire agire con spirito di gruppo, come una squadra sportiva, seguendo le regole e gli schemi. Avendo presente che quello che fai tu, il tuo lavoro, sta all’interno del lavoro di tutti. Che poi il risultato viene meglio.
- E perché dovrebbe venire meglio?
- Perché certi lavori si possono fare solo in gruppo. Perché adesso il mondo è complicato. E poi, pensaci, stare in gruppo è una cosa umana: ne abbiamo bisogno e ci fa piacere. Stiamo in gruppo da bambini, quando si cresce; stiamo in gruppo quando si gioca, come tua figlia. E così anche quando si lavora. Perché essere parte di una squadra significa condividere. Le cose da fare ma anche altro: emozioni, pensieri, gioie e casini della vita.
- Però tu la metti giù tutta al positivo: ma lo sai benissimo che a lavorare con gli altri, in una squadra ci sono anche degli svantaggi. Ammettilo.
- Tipo?
- Tipo che capita di essere in squadra anche con gente che non sopporti. O capita di dover lavorare con persone che non si impegnano abbastanza e allora a te tocca fare anche il lavoro degli altri. Capita che non si possono seguire i propri metodi di lavoro ma bisogna adattarsi agli altri.
- Capita, lo so. Tocca rispettare i ritmi di lavoro degli altri. Tocca, se si lavora in una squadra, considerare che ognuno può avere i suoi momenti più incasinati, per via delle cose che succedono nella vita e che si ripercuotono poi sul lavoro.
- E su chi lavora con te.
- E su chi lavora con te. Ma se c’è una squadra se ne può anche parlare. E trovare la via d’uscita.
- E se c’è chi se ne approfitta?
- Chi se ne approfitta c’è sempre: siamo umani. Ma in una squadra di lavoro ci sono anche l’altruismo, la cortesia, il supporto e l’aiuto reciproco. Nascono così, come una cosa umana, a titolo gratuito e senza secondi fini. Sono un capitale sociale.
- Basta così. Sennò mi vai in modalità di predicatore che vede tutto bello.
- Non è vero.
- È vero. A volte tu predichi il bello.
- Allora pensa al brutto: anche per avere qualcuno con cui prendertela, il collega stronzo, ti tocca lavorare in squadra.
- A proposito di prendersela: alla fine, che è poi come all’inizio, cosa prendi da bere?
- Prenderei il solito analcolico.
- Più dolce che secco?
- Ma si: dolce.
- Con la ciliegina candita che spunta fuori dal bordo del bicchiere e ti guarda negli occhi e sembra quasi parlare?
- Ma cosa stai dicendo?
- Cosa sta dicendo la ciliegina? Dice: “Non mi lasciate dentro questo intingolo dolciastro. Cosa ho fatto per meritarmi questo?”
- Buona domanda. Che cosa ho fatto per meritarmi questo?

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