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Sei in: webAmbiente / numero 3 - 2013 / Il bancone del bar

IL BANCONE DEL BAR

Cirri Massimo

di MASSIMO CIRRI
biografia

due sorsi di confidenze
Starci attenti


- Io ti dico: “Devi starci attento”. A te che cosa viene in mente?
- Attento a cosa?
- A cosa devi dirmelo tu. Io ti dico “Devi starci attento”, tu mi dici a cosa…
- Così, di colpo … non mi sono neanche messo a sedere.
- Pensaci. Ma poco, dammi una risposta d’istinto.
- D’istinto, ok. “Devi starci attento” me lo diceva mia madre, da ragazzino, quando
mi avevano comprato il motorino. Io lo volevo e lo avevo chiesto per mesi e mesi: “Ce l’hanno tutti i miei amici. Perché io no?”. Glielo domandavo tutti i giorni, a pranzo e a cena. In media per una trentina di volte. Il sabato e la domenica anche un po’ più spesso, avevo più tempo. Così alla fine i miei avevano ceduto: “Tu fatti promuovere a scuola e a giugno avrai il motorino”.
- Li avevi presi per sfinimento?
- Esatto. Ero insopportabile, a ripensarci adesso.
- Anche adesso sei insopportabile, te lo garantisco.
- Senti chi parla. Ma poi mia madre, forse perché era preoccupata che mi succedesse
qualcosa – un incidente, il traffico – tutte le volte che dovevo uscire con il motorino me lo diceva: “Devi starci attento. Mi raccomando stacci attento”. Anche se prendevo il motorino per andare al bar in piazza, saranno stati 400 metri su una strada senza traffico, mi faceva le stesse raccomandazioni che mi avrebbe fatto prima di partire per la Parigi-Dakar.
- È l’apprensività tipica delle madri italiane.
- Può darsi. Ma forse, invece, era il suo modo di vendicarsi: io l’avevo sfinita con “Voglio il motorino, perché non possa avere il motorino”, lei si vendicava sfinendomi con “Devi starci attento, devi starci attento”.
- E poi?
- E poi io ci stavo attento: mai fatto un incidente in motorino, mai caduto neanche una volta. E dopo un po’ anche lei ha smesso. Ma ce n’è voluta.
- E poi?
- E poi che cosa? Vuoi prendere il posto di mia madre con lo sfinimento? Cos’è: l’apprensività tipica degli amici italiani?
- Ma no. Ti chiedevo che altre cose ti vengono in mente per “Devi starci attento”.
- Ma dove vuoi andare a parare con questa storia del “Devi starci attento”.
- Poi te lo dico.
- Giura?
- Giuro.
- Ok. Mi è venuto in mente che una cosa del genere – “Mi raccomando, eh, stacci attento” – me la diceva mio padre. Sempre quando ero ragazzo, ma un po’ dopo.
- Quando?
- Quando sul motorino cominciavo a portarci in giro le ragazze.
- E tuo padre non si riferiva alla paura di un incidente.
- Proprio no.
- E tu?
- E io glissavo: “Tranquillo papà”. Ma volevo chiudere subito il discorso. Perché mi imbarazzava. Di quel “pericolo” lì non si riusciva mica a parlarne tranquillamente.
- Adesso diresti: “Educazione sessuale”.
- Credo di si. O “Prendere delle precauzioni”.
O userei anche la parola “Profilattico”.
Allora invece non si riusciva a parlarne esplicitamente. E si diceva solo “Stacci attento”.
- Era un modo di dire senza dire direttamente.
- Era la difficoltà a trovare le parole giuste.
- O un po’ di vergogna.
- Dimmi un’altra cosa: un attimo fa ti sei seduto qui, sullo sgabello al bancone. Giusto?
- Non posso negarlo.
- Ma prima di sederti ci sei stato attento o sei andato in automatico?
- In che senso?
- Prima di sederti su questo sgabello. È alto, se caschi ti fai male. Prima di sederti che fai? Controlli? Butti l’occhio?
- Ma a cosa?
- Non so. Che non sia rotto, che non sia sfondato, o che non sia appoggiato male.
- Mi sembra di si...
- Ti sembra o ne sei convinto?
- Son convinto che, più che agli sgabelli, dovrei stare attento alle persone che frequento.
- Perché?
- Perché mi sempre fuori di testa. Passi dal motorino ai preservativi e poi arrivi agli sgabelli. Fattelo dire: tu non stai mica bene.
- Sto benissimo. Mi è venuto in mente lo sgabello – tu che arrivi e ti siedi, in automatico
– senza controllare...
- Controllare cosa?
- Che non sia rotto, che qualcuno non gli abbia segato una gamba. Perché non lo hai fatto?
- Ma perché questo sgabello dovrebbe essere rotto o con le gambe segate? In questo bar ci veniamo tre volte alla settimana e lo sgabello è sempre stato a posto. È normale che sia a posto. Altrimenti il barista, o qualcun altro, lo mette via. Non ti pare?
- Giusto. Quindi tu, quando entri al bar, sullo sgabello vai in automatico perché ti fidi. Lo fai perché sai che questo è un posto sicuro, vero?
- Giusto. Questo bar è un posto sicuro. A parte certa gente che lo frequenta. Parlo di te. Perché lo fai? Perché fai queste strane domande?
- Perché oggi, in azienda, ho fatto il corso sulla sicurezza.
- E allora?
- E allora mi girava in mente questa cosa: la sicurezza sul posto di lavoro è fatta di tante cose. C’è l’attenzione, “Devi starci attento”, e c’è il rischio che poi l’attenzione cali, perché a volte un po’ non ti ricordi che devi starci attento e a cosa.
- Perché vai in automatico.
- Esatto. Certe cose le facciamo un po’ in automatico: guidare la macchina, per esempio, o fare le cose che fai sempre. Anche lavorare. A volte, mentre lavori, vai in automatico perché quello che stai facendo l’hai già fatta mille volte...
- E la sai fare bene...
- E allora rischi di farla con minore attenzione.
- E lo sgabello?
- Lo sgabello rappresenta il lavoro di squadra. Tu ti ci siedi sopra tranquillo perché ti fidi: c’è qualcun altro che lo ha controllato. Se non lo fa poi qualcuno corre dei rischi e…
- E allora?
- E allora credo che la sicurezza sul lavoro sia una cosa importante e complicata
- Come le ragazze quando si è giovani?
- E anche dopo. Quindi bisogna starci attenti.
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