L'ALTRO SPORT
Vite da campione
Lopepe che corre per la libertà

di Marco Tarozzi
biografia
Aveva sei anni “Lopepe”, quando gli portarono via l’infanzia. Nel 1991. Era domenica, in cielo brillava un sole che dava allegria, le famiglie di Kimotong, piccolo villaggio del Sudan, erano riunite nel rito della messa festiva. Ma intorno infuriava la guerra civile, e quel giorno arrivò fin lì. I miliziani filogovernativi arrivarono all’improvviso, minacciarono la gente di morte, caricarono i ragazzi su un paio di camion e se ne andarono.

In pochi attimi la vita di Lopez Lomong, il piccolo “Lopepe”, era stravolta. Gli avevano cambiato il destino: doveva diventare un bambino-guerriero. Uno dei tanti “lost boys” che sparivano in quell’angolo d’Africa. Lui sparì, infatti, e al villaggio lo piansero i suoi genitori, che dopo qualche mese di speranza organizzarono un mesto funerale senza nemmeno sapere se davvero il loro ragazzo fosse stato ucciso. Senza sapere che invece “Lopepe” aveva corso per la libertà. Pochi giorni dopo il rapimento, preso sotto l’ala protettrice di alcuni ragazzi più grandi del villaggio, riuscì a sfuggire alla prigionia. Camminò e corse per tre giorni e tre notti, tra boschi e radure. Arrivò fino in Kenia. E lì fu accolto in un immenso campo profughi, dove convivevano 60mila anime di nove nazionalità diverse. Ci restò dieci anni, avrebbe potuto restarci per sempre. Ma “Lopepe” aveva un sogno. E a volte i sogni aiutano a cambiare il destino.
Nel mio villaggio, tutti camminavano per andare dove avevano bisogno di arrivare. Tutti, eccetto me. Io non camminavo. Correvo. E così i miei genitori mi chiamarono Lopepe, che nella nostra lingua significa “veloce”.
Lopez amava la corsa. L’atletica. Si allenava tutti i giorni sulle strade polverose del villaggio. Correva senza fare calcoli: che può sapere un giovane profugo di programmi e allenamenti? Correva e basta. Finì che divenne famoso al villaggio, la sua storia venne alla luce.
Si sentiva un sopravvissuto, ma con ancora addosso la curiosità di provare a costruirsi una vita migliore. Lo scrisse in un componimento, che venne letto da alcuni volontari della Catholic Charities. Raccontò anche di quel giorno d’estate del 2000 in cui girò per tutto il campo per trovare l’unico televisore in bianco e nero della zona, soltanto per capire cosa fossero queste Olimpiadi di cui tanti parlavano.

Nel 2001, grazie a un piano umanitario statunitense, prese per la prima volta un aereo per attraversare l’oceano. A sedici anni fu adottato da una famiglia di Tully, stato di New York, e da quel momento la corsa diventò qualcosa di diverso. Non più necessaria alla sopravvivenza, ma un modo per affrancarsi. Frequentò la high school locale, raggiungendo il decimo livello, e diventò un runner. Tanto forte da entrare a far parte del team di cross della scuola, diventandone la colonna in grado di far vincere alla squadra titoli interzonali e statali. Poi scelse la Northern Arizona University e nel 2007 diventò campione indoor dei 3000 metri nella Division I della NCAA, e campione dei 1500 metri all’aperto. In quell’anno, fece anche un altro passo decisivo della sua vita: giurò fedeltà alla Costituzione diventando cittadino americano.
SE FOSSE
UN LIBRO...
“Kim” (1901)
di Rudyard Kipling
Romanzo d’avventura che narra la vita del giovane e perspicace Kim e del suo accompagnatore tra le minacce di un’insidiosa India
Prima, nel 2003, c’era stato un altro momento emozionante di questa storia incredibile. Rita Namana, sua madre, aveva saputo di quel figlio perduto e riemerso, aveva alzato per la prima volta nella sua vita un telefono per chiamarlo. E pochi mesi dopo i due si erano riabbracciati poco lontano da Nairobi, dove i genitori si erano trasferiti. Riallacciando il filo dopo dodici anni di buio.
Il resto è scritto nelle cronache. E va raccontato al presente. Nel luglio 2008, a Eugene, tempio dell’atletica statunitense, Lomong corre i Trials olimpici e finisce terzo nei 1500 metri, guadagnandosi il pass per le Olimpiadi di Pechino. E in Cina gli viene affidato il ruolo di portabandiera della Nazionale alla cerimonia di inaugurazione. Un gesto simbolico, un messaggio degli Usa al paese organizzatore, da tempo accusato di supportare il governo sudanese ritenuto colpevole del massacro dimenticato del Darfur. Quattro anni dopo, a Londra, Lomong finisce decimo nella finale dei 5000 metri. Niente vittoria, podio lontanissimo. Ma con una storia del genere alle spalle, quella finale vale come cento medaglie d’oro.

Lopez Lomong ha ripreso in mano la vita grazie allo sport. E non ha dimenticato le sue origini. Ha messo volto ed energie nel progetto “4 South Sudan”, con l’obiettivo di facilitare in quei territori l’accesso alle fonti d’acqua e alla sanità pubblica, offrire alle famiglie condizioni di vita accettabili, assicurare un futuro ai bambini attraverso un’educazione solida e una adeguata nutrizione. Perché possano crescere, appunto, da bambini. Perché nessuno possa permettersi di rubare loro l’infanzia, come è successo a “Lopepe”. Il ragazzo che doveva perdersi e invece ha saputo farsi campione.
Correndo.
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