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traduzione: eng | عربي

Di Chiara Filippi

In Sicilia, per non dimenticare

Un itinerario tra la storia e la cultura, tra il dolore e il riscatto, tra la sconfitta e il ritorno alla dignità, tra il sole, il mare e le prelibatezze di una terra incomparabilmente emozionante. In sicilia con libera terra sui passi di una rinnovata voglia di legalità e stabilità. Breve resoconto “emotivo” di un viaggio senza paragoni.

Cooperatori stanchi. Neo soci. Detrattori e critici del modello cooperativo. Ma anche entusiasti sostenitori della cooperazione. Chiunque, per un motivo o per l’altro, abbia a che fare con il mondo coop dovrebbe fare, prima o poi, un viaggio in Sicilia. Visitare la cantina “I Cento Passi” di San Giuseppe Jato, vagare per le terre confiscate dell’Alto Belice Corleonese, chiacchierare a Palermo con i ragazzi della Bottega dei Sapori e dei Saperi, fare una sosta silenziosa a Portella della Ginestra.

Per partecipare
ai viaggi in Sicilia

Manutencoop continua, anche per questo autunno e per il prossimo anno, a promuovere viaggi in Sicilia nelle terre confiscate alla mafia in collaborazione con “Libera – il g(i)usto di viaggiare”. Chi fosse interessato ad avere ulteriori informazioni o a segnalare il proprio interesse a partecipare può contattare il Servizio Comunicazione e Responsabilità Sociale.

Luca Stanzani
Chiara Filippi
tel. 0513515111
lstanzani@manutencoop.it
cfilippi@manutencoop.it

È un percorso alla scoperta delle radici della cooperazione, del perché è nata e del perché ha senso che continui ad esistere l’esperienza che Manutencoop Società Cooperativa, in collaborazione con “Libera – il g(i)usto di viaggiare” propone ogni anno a soci e dipendenti nelle terre confiscate alla mafia ed oggi gestite dalle cooperative sociali aderenti al consorzio “Libera Terra Mediterraneo”.

Più di qualsiasi trattato o master sulla storia della cooperazione vale la testimonianza di uno dei soci della cooperativa Placido Rizzotto: “Ci libera solo il lavoro. Per me l’antimafia è la prima volta che ho visto il TFR”. Perché un lavoro, in regola, dignitoso, “giusto”, permette di non avere più bisogno di logiche mafiose e clientelari. È per questo che in Sicilia oggi, come a Bologna nel 1938 e tuttora, la formula cooperativa, con i soci lavoratori proprietari e responsabili insieme dell’impresa, funziona e si rivela vincente.

L’ultimo “viaggio in Sicilia” si è svolto lo scorso giugno: quattro giorni intensi per 14 colleghi (compresi 3 bambini che accompagnavano nonni e genitori) nel cuore dell’isola per scoprire e conoscere, oltre a bellezze naturali, architettoniche, culinarie, l’esperienza difficile ed entusiasmante delle coop agricole di Libera, le testimonianze ed i testimoni della lotta alla mafia, problemi e risorse di una regione e un nuovo modo di fare turismo. Basato sui principi della giustizia sociale ed economica.

Un’esperienza difficile da rendere attraverso un semplice resoconto: preferiamo (soprattutto per invogliare i colleghi a partecipare al prossimo viaggio) raccontarvela attraverso un elenco, in ordine rigorosamente sparso, dei motivi per cui, chi c’è stato, pensa che valga la pena di andare.

> La passione di Caterina, guida, o meglio, “mediatrice culturale” del Gruppo capace di raccontare con poche incisive frasi lo spirito, la storia, la quotidianità di un paese.

> La ricotta (e non solo) dell’Agriturismo “Al ciliegio” di Salemi: ciliegio, casolare e tutto quanto intorno appartenevano al boss Calogero Musso, oggi sono gestiti dall’Associazione San Vito Onlus.

> Farsi raccontare nella bottega di Libera Terra perché, 10 anni fa, all’indomani dell’omicidio dei giudici Falcone e Borsellino, i ragazzi di Palermo hanno cominciato a pensare che un’altra Sicilia era possibile ed hanno iniziato a costruirla insieme.

> La cantina “I cento passi” a San Giuseppe Jato e la testimonianza di Antonio, giovane agronomo tra i fondatori della cooperativa Placido Rizzotto: per capire come dietro ai vini ed ai prodotti di Libera Terra ci siano innovazione, competenza e mentalità imprenditoriale.

> I vini della cantina “I cento passi”, ciascuno dedicato ad una vittima della mafia.

> Vedere lo scempio del “sacco di Palermo”, la cementificazione della città voluta dall’allora assessore ai lavori pubblici, poi sindaco, Vito Ciancimino: ville liberty rase al suolo per far spazio ai palazzi ed agli affari dei costruttori.

> Sostare in silenzio davanti all’albero di Borsellino, in via D’Amelio.

> Pranzare, cenare e fare shopping esclusivamente nei negozi che espongono l’adesivo “Addiopizzo” (prontamente indicati da Caterina): esercenti che dichiarano di non pagare il pizzo o che, essendo stati vittime di richieste estorsive, ne abbiano fatto denuncia. Perché, come recita la frase simbolo dell’associazione che ha dato vita al progetto, “Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità”. Non solo in Sicilia.

> Ascoltare la testimonianza di Giovanni Impastato, fratello di Peppino, ucciso dalla mafia per il suo impegno contro la mafia stessa.

> A Cinisi contare “I cento passi” che separano la casa di Peppino Impastato da quella del boss Tano Badalamenti, mandante del suo omicidio, ricordando l’omonimo film di Marco Tullio Giordana.

> Mangiare un cannolo appena fatto nella piazza di Piana degli Albanesi (pare siano i migliori della Sicilia).

> La vista del Cretto di Alberto Burri, una delle opere di arte contemporanea più estese al mondo: dall’alto l’opera appare come una serie di fratture di cemento sul terreno, il cui valore artistico risiede nel congelamento della memoria storica di un paese, Gibellina, distrutto dal terremoto del Belice nel 1968. La realizzazione sorge sulle macerie del paese, “cementificate” dall’artista.

> Chiacchierare con i ragazzi dell’associazione Dialogos di Corleone che nella patria di Totò Riina si impegnano a “cambiare la cultura del nostro territorio, uscire dall’isolamento per creare le basi per uno sviluppo economico-sociale”.

> Il memoriale di Portella della Ginestra dove il primo maggio del 1947 durante la Festa del Lavoro, alcuni banditi spararono sulla folla (riunitasi per manifestare contro il latifondismo e festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali) e uccisero 12 persone, ferendone più di 30. Si disse che a sparare furono gli uomini del bandito Salvatore Giuliano, si parlò di collusioni tra mafia locale e forze reazionarie dell’isola. Per molti si tratta della prima “strage di stato”.

> Gli arancini caldi nei caffè di Palermo.

> Percorrere l’autostrada A29 dall’aeroporto di Punta Raisi verso Palermo pensando a quando la percorse per l’ultima volta Giovanni Falcone quel pomeriggio del 23 maggio del 1992.

> Visitare Palazzo dei Normanni, sede dell’Assemblea regionale siciliana, fieri di essere “noi” a farlo funzionare (Manutencoop gestisce i servizi tecnici di tutto il complesso. Grazie per la visita al collega Marco Cottone e al professore Giovanni Battista Scaduto).

> Scendere dall’aereo a Palermo e sentirsi a casa, accolti, con tanto di inchino, dai colleghi che si occupano delle pulizie dell’aeroporto.

> Vedere il tramonto sul lungo mare di Terrasini.

> Pranzare all’Agriturismo Portella della Ginestra “alla faccia” di Bernardo Brusca a cui apparteneva la masseria confiscata.

> Visitare il Museo della mafia di Salemi per convincersi che la mafia non è un fenomeno da museo.

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