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Vita aziendale

traduzione: eng | عربي

di Giancarlo Strocchia

Un presidente per professore

Un ospite molto atteso, un amico ritrovato. Romano prodi ha accettato di tracciare, nel corso della giornata di studio organizzata da manutencoop, un profilo dell’economia italiana e mondiale ancora alle prese con gli strascichi della recessione. A lui abbiamo posto alcune domande per capire come e quando potremo sperare di dire “finalmente ne siamo fuori”

È stato presidente, ma prima ancora professore. Un titolo accademico consolidato in anni di insegnamento in Italia e all’estero. Oggi il suo approccio ha ricordato maggiormente questo aspetto della sua personalità professionale, didascalico al punto giusto, accompagnato da un adagio di umanità e familiarità che mette a proprio agio ogni genere di interlocutore. Romano Prodi, nella sua Bologna, alla platea di dipendenti e vertici di Manutencoop Facility Management, ha cercato di spiegare che la crisi economica ancora non è cessata, e che dovremo rimboccarci le maniche per scongiurare un futuro meno drammatico dei nostri vicini greci.

Presidente, quando usciremo definitivamente dalla crisi economica?

Iniziamo con il precisare che la crisi in alcune parti del mondo, come la Cina, non c’è mai stata. Per quanto riguarda il resto del mondo, effettivamente non se ne è mai usciti. Vanno un po’ meglio gli Stati Uniti mentre fatica l’Europa, dove le conseguenze della recessione sono ancora sotto gli occhi di tutti. Per sintetizzare, abbiamo raggiunto il fondo del catino e non scendiamo di più. C’è qualche timido segnale di arresto di questa ripida discesa, e quindi la speranza che si possa, in un futuro non lontano, risalire, ma ancora fuori dalla crisi non siamo.

BIOGRAFIA
ROMANO PRODI

1939
Nasce il 9 agosto a Scandiano (Reggio Emilia). È prima allievo di Beniamino Andreatta all’Università di Bologna e dopo la laurea si specializza presso la London School of Economics.

1978
Viene nominato Ministro dell’Industria del Governo Andreotti in sostituzione del dimissionario Carlo Donat Cattin.

1981
Fonda il centro studi Nomisma.

1982
Il Governo gli affida la presidenza dell’Iri dove rimane per 7 anni. Vi ritornerà nel 1993 per un altro anno chiamato dal presidente Ciampi.

Quali trasformazioni Lei intravede al termine di questo tunnel? A cosa si deve preparare l’economia italiana per proseguire a crescere dopo la crisi?

Prima di tutto occorre consolidare i punti di forza, cioè l’industria dei beni di consumo raffinati, ma soprattutto l’industria dei beni strumentali. La nostra ricchezza è nella meccanica, un comparto che ha retto bene fino all’inizio della crisi, ma che inevitabilmente ha risentito del periodo negativo perché, producendo beni di investimento la cui domanda è crollata, non poteva che calare. Per questo è necessario operare aumentando soprattutto le dimensioni delle nostre aziende affinché siano in grado di operare in tutto il mondo. I principali mercati sono fisicamente distanti ed una piccola impresa non può sperare di affrontare efficacemente la competizione. Il riaccorpamento delle imprese è un’operazione quindi indispensabile. Un altro elemento su cui concentrare l’attenzione è la qualificazione delle risorse umane. La nostra grande risorsa sono gli ingegneri che costano, tra l’altro, molto poco rispetto agli altri paesi europei.


1996
Vittoria della coalizione di centro-sinistra e nomina di Prodi a capo del Governo. Lo rimarrà fino al 1998.

1999
Viene nominato presidente della Commissione europea, carica che ricoprirà fino al 2004.

2006
Nuova vittoria alle elezioni e nuovo mandato a Palazzo Chigi, dove rimane fino al 2008 dopo la seconda crisi avvenuta alla fine di gennaio. Romano Prodi annuncia di lasciare la presidenza del PD.

Nel lungo periodo dobbiamo poi puntare a sviluppare la ricerca. Come si è comportato il settore dei servizi in questo frangente economico così critico?

Manutencoop, nel suo settore, ha assunto un ruolo di leadership grazie al quale è riuscita a sviluppare una cultura imprenditoriale moderna ed efficiente senza la quale avrebbe lasciato spazio solo alle imprese straniere. Perché nel mondo della grande distribuzione oramai i protagonisti italiani sono pochissimi? Perché nel mondo delle banche d’affari, della finanza, abbiamo delle grandi difficoltà ad essere presenti? Perché le nostre società di consulenza fanno fatica ad affermarsi? Forse perché non siamo stati in grado di puntare sufficientemente sulla ricerca e sulla qualificazione professionale, ambiti in cui l’Italia rimane una cenerentola.

Ritornando al tema dei servizi, secondo lei cosa ancora impedisce alle imprese italiane di affermarsi maggiormente a livello internazionale?

È un problema di cultura. Il settore dei servizi ha pagato lo scotto di una certa frammentarietà, assumendo un ruolo di passività rispetto ad altri ambiti produttivi, come l’agricoltura o l’industria. Occorre cambiare mentalità e, con questa, la struttura organizzativa. È chiaro che dobbiamo avere grandi imprese, ed è per questo che mi sento di dire che la Manutencoop può competere, per dimensioni, con i concorrenti stranieri.

Tornando ai valori, secondo Lei in che modo il concetto di “responsabilità d’impresa” può tradursi in termini pratici?

In Italia, associo questo principio alle grandi imprese familiari. L’avvicendarsi ai vertici di queste aziende delle nuove generazioni spesso non coincide con la trasmissione dei valori che hanno fatto grande l’azienda stessa, ovvero il sacrificio e la preparazione. Voglio dire: la leadership in una impresa non si raggiunge per vie trascendentali, occorre conquistarsela. Quante volte, invece, vedo i figli degli imprenditori che si addormentano su quello che hanno ricevuto.

La crisi greca ha destabilizzato l’Europa e preoccupato molti mercati. Questo dramma servirà a sollecitare una riforma delle istituzioni continentali affinché si affermi una modalità di intervento più organica ed efficiente?

Me lo auguro. Le ultime misure economiche varate mi fanno ben sperare perché stabiliscono alcuni criteri di sorveglianza, alcune regole di intervento che possono essere ripetute automaticamente. Si tratta di un passo avanti verso il futuro, non decisivo, ma comunque nella giusta direzione. Abbiamo rischiato molto, ma è assai probabile che un pochino questa crisi ci servirà.

L’euro è ancora uno strumento valido per tenere insieme questa Europa?
Come si fa a tornare indietro dall’Euro?

È impensabile, solo degli aspiranti suicidi potrebbero pensarlo. Gli stessi tedeschi, che hanno fatto prediche a tutti, guadagnano tantissimo dall’esistenza dell’Euro, sanno benissimo che se la moneta unica si dissolvesse, tutti gli altri paesi ricomincerebbero a svalutare le proprie, come hanno fatto in passato, e il loro attivo nella bilancia commerciale verso gli altri paesi della zona euro svanirebbe. Lo sanno benissimo, ed è per questo che, alla fine, anche loro si sono assunti la responsabilità delle uniche decisioni possibili in questo momento.

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