IL BANCONE DEL BAR
di MASSIMO CIRRI
biografia
due sorsi di confidenze
Dov’è il futuro?
> Buonasera, ciao, siediti.
> Ciao, buonasera a te.
> Dimmelo subito: dov’è il futuro?
> Ehh?
> Il futuro. Lo sai cos’è il futuro?
> Il futuro, si, l’avvenire, il domani, il dopo, quelle cose lì...
> Esatto: il futuro. La domanda è: secondo
te dov’è il futuro? Dove sta? Dove lo collochi? Come lo pensi?
> Come me lo immagino, io, il futuro?
> No. Non come te lo immagini. A immaginare
son bravi tutti. Immaginare è facile. Tiri a caso e dici “Sto immaginando
il futuro”. No, falso, stai tirando a indovinare. Io invece ti chiedo come lo pensi, questo futuro.
> Lo penso che avrei fatto meglio a pensarci prima, al futuro. Se lo avessi fatto...
> Il futuro come rimpianto? Interessante,
bravo. Futuro come riflessione da fare ora, qui, nel presente, su come avremmo dovuto scommettere prima, nel passato, sul poi, il futuro. Molto profondo, mi stupisci. Ma dovuto o potuto? Perché qui c’è la differenza fondamentale tra...
> No, pensarci prima e basta. Potevo pensarci prima, mentre cercavo parcheggio
o anche dopo, entrando al bar. Quando pensavo al futuro come un aperitivo e quattro chiacchiere tranquille. Ero ancora in tempo, e potevo
andare a casa. Perché ogni volta, a fine anno, tu mi parti con la tiritera del futuro.
> È un interrogativo che da sempre l’umanità
si pone quando battono più forte
i rintocchi dell’orologio del tempo. Tipo a fine anno.
> C’entra il fatto che a fine anno, con l’abbassarsi delle temperature, aumenta
la quantità di alcol che butti giù?
> Lo escludo. Bevo analcolico per arrivare
leggero ai brindisi di fine anno.
> Bravo.
> E anche lì, pensaci, a cena con la famiglia
e gli amici, quando si brinda, quando
ci si scambiano gli auguri, che cosa si fa?
> Si sta attenti a non esagerare?
> Ehh.
> Che poi il sette gennaio scassi l’anima a tutti i colleghi con “E guarda come sono ingrassato, e ho mangiato troppo e è colpa del bollito di mia suocera e ho bevuto troppo e tutte queste bicchierate
di auguri e adesso mi metto a dieta, eccetera eccetera”.
> Quando ci scambiamo gli auguri, bevendo,
cerchiamo il futuro. “Fare gli auguri” viene da un rituale antico. Un sacerdote che interpreta la volontà degli dèi guardando il volo degli uccelli.
Che uccelli sono? Dove vanno? Sono soli o è un gruppo? Cantano volando? Lo facevano i romani, e prima gli etruschi
e i greci.
> L’hai visto com’è finita la Grecia?
> Che c’entra?
> Sui cieli elleneci doveva esserci un volo ininterrotto di gufi, civette, corvi e cornacchie.
> Esatto.
> Esatto cosa?
> Non si dice “Uccello del malaugurio”?
> Come “gufare”?
> Non parlarmi di gufi che mi viene in mente com’è andata a finire con il Governo
e mi tocca bere qualcosa di forte.
> E allora?
> E allora tutti ci provano sempre a cercare
il futuro. Presagi, indizi, previsioni:
“questo fatto mi pare di ottimo augurio”,
“queste parole mi suonano di pessimo augurio”. Oppure: “Ti faccio l’augurio di guarire presto”; “Gradisci i miei più sinceri auguri”.
> Grazie, altrettanto a te.
> Era un esempio.
> Quindi non ci scambiamo gli auguri?
> Dopo. Adesso cerchiamo il futuro.
> Mia nonna lo cercava nei fondi di cafè. Se non la convinceva ne metteva subito
sù un altro. A volte era molto nervosa.
> Per il futuro?
> Per la caffeina. Troppa.
> Qualcuno adesso invece che nei fondi del caffè cerca il futuro nei fondi d’investimento.
> Funziona?
> Non saprei. Le banche, come futuro, non mi sembrano messe bene.
> Ma risparmiare qualcosa è un modo di pensare al futuro.
> Giusto.
> Gli antichi cercavano il futuro esaminando
le viscere degli uccelli.
> Invece di osservarne il volo?
> Credo di si.
> Cioè: il volo di quel tordo, come futuro,
non mi convince per nulla. Allora lo tiro giù, ne apro le viscere e vedo se butta meglio. In ogni caso mi resta sempre qualcosa da affiancare ad una polenta.
> Sei di un materialismo raccapricciante.
> È che comincio ad aver fame.
> Prendi questa mano, zingara...
> ... dimmi pure che futuro avrò. Iva Zanicchi,
Zingara, Festival di Sanremo, 1969. Grande Iva.
> ”Dimmi pure”, dice Iva. Perché lei non ha mica paura di conoscere il futuro.
> A te a volte il futuro fa paura?
> A volte si.
> Perché?
> Perché fino ad un po’ di tempo fa eravamo tutti convinti che il futuro sarebbe stato meglio del passato. Era sempre stato così: io ho avuto una vita migliore di quella di mio padre, ho studiato,
ho fatto un lavoro migliore. Mio padre era stato meglio di mio nonno.
> E via dicendo.
> Da anni. Da sempre.
> Ora invece...
> Ora invece non sono più sicuro di che futuro potranno avere i miei figli.
> Se avranno una vita migliore della nostra.
È vero.
> E quindi siamo qui, in tanti, a pensare al futuro come preoccupazione invece che come speranza.
> Così finisce che ci deprimiamo di brutto.
Era meglio se tiravo dritto verso casa, saltando te ed il bar.
> Ma no, dai. Ti racconto di una signora inglese, miss Packington, che predice il futuro con la lettura degli asparagi. Li lancia in aria e da come atterrano capisce come va a finire.
> Tira a caso? Tira a indovinare?
> Tira gli asparagi.
> Risottino con gli asparagi?
> Per il cenone di San Silvestro non è stagione.
> Giusto: allora nel nostro futuro, facciamo
metà/venti di aprile, vedo un risottino
con gli asparagi.
> Lo vedo distintamente anch’io.
> Senti l’odore?
> Lo sento, lo sento. Miracolo! Futuro!
> Auguri.
> Auguri, buon anno.
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