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Sei in: webAmbiente / numero 3 - 2015 / Uguali

UGUALI

Tutti i sentieri dello spirito
Terapia per l’anima

Nicolini

Di Don Giovanni Nicolini
biografia

Uguali

Il termine, e il delicato problema della “cura”, l’ho incontrato negli ultimi tempi soprattutto nello spazio e nell’orizzonte del mio piccolo servizio per le persone ammalate. E qui l’ho incontrato per come la ricerca e il progresso scientifico consentono, e anche esigono, la volontà e la possibilità di “curare” le malattie.

Sorgono sempre nuove possibilità di intervento per respingere o almeno trattenere e ritardare gli effetti negativi del male che insidia e colpisce la vita umana. Qui è necessario almeno accennare come siano diverse e sempre più si allontanino tra loro le malattie del pezzo di mondo in cui noi viviamo e quelle che colpiscono il terzo e il quarto mondo. Qui è la “natura” a decidere la qualità e la durata della vita umana, mentre da noi la “cultura”, intesa anche come conoscenza e capacità di intervento, sempre più dilata le possibilità di controllo e di arresto di molte infermità. Quando mi si chiede se nei nostri spazi terapeutici si pratica l’eutanasia, sento di dover rispondere che quello che mi sembra se mai eccessivo e invasivo è un “accanimento terapeutico” che sempre più riesce ad intervenire. E, devo dire, non sempre a vantaggio di un vero bene per la persona malata.

L’amichevole conversazione con un amico, valente terapeuta, portava lui come me a chiederci se non corriamo il rischio di una “sotto-cultura” che edifichi una mentalità incapace di pensare e di accettare che la vita umana ha anch’essa i suoi limiti e il suo termine. Ed è per questo che la parola “cura” si è trovata davanti ad un interrogativo inaspettato e di grande interesse: la cura, che è cura della malattia, non deve essere anche, e soprattutto, cura del malato? Secondo un antico principio dell’arte medica, il medico quando si trovava davanti al limite della possibilità terapeutica doveva “ritirarsi” dal malato. Tale principio si è giustamente relativizzato per il grande progresso che la scienza ha compiuto per tutto quello che riguarda il contenimento del dolore fisico e psicologico del malato.

E dunque, doverosamente, si è sviluppata una nuova fisionomia e una nuova branca della medicina, che accompagna il malato con attenzioni diverse e di grande importanza. Nasce qui la distinzione tra la cura della malattia e la cura della persona malata. Si tratta di un’attenzione assolutamente necessaria e preziosa proprio per le conseguenze dello stesso progresso scientifico. Qui sta infatti il pericolo di un accanimento terapeutico esposto a trascurare o addirittura a dimenticare il bene profondo e vero della persona. Qui la potenza e la competenza delle terapie non intervengono solo per attenuare il dolore fisico, ma diventano attenzione e comprensione nei confronti del malato e del complesso ricco e delicato della sua persona, della sua vicenda e della sua situazione. Qui posso accennare ad un’esperienza che ho avuto il dono di fare.

Molto spesso, quando la situazione fisica si aggrava, la persona viene istintivamente considerata e trattata come “meno se stessa”, meno presente, meno responsabile, meno sensibile. È segno di tutto questo un fatto che può sembrare non sostanziale, ma che invece ho verificato essere di grande rilievo: invece di parlare “a quella persona”, si parla, anche in sua presenza, “di quella persona”! Questo mi ha sempre molto infastidito, fino a scoprire ulteriormente tutta la sua gravità. Mi è infatti sempre più accaduto di verificare una reale condizione della persona malata come molto diversa dalla nostra opinione retorica! Ho scoperto che quando una persona si avvicina al termine del suo cammino, l’orizzonte dei suoi pensieri e dei suoi sentimenti si dilata e si approfondisce in modo straordinario. Allora facilmente si pongono degli interrogativi e delle considerazioni che difficilmente si presentano nell’esistenza ordinaria!

Ho scoperto che, per esempio, uno si domanda, o ricorda con intensità, chi lo ha amato. Oppure chi lui ha amato o non ha amato. E il bene che ha ricevuto e ha fatto. E i passaggi più significativi, più felici o più dolorosi della sua vita…. In quel momento, essere vicini alla persona è di grande rilievo! E grande intensità di relazione ho scoperto anche in chi sembra essere al di là dello stato di coscienza. Provo ad esemplificare: appoggio la mano sul letto del malato. Mi accorgo che lui tende la mano per prendere la mia. E la stringe. Quando poi faccio per staccarmi, me la stringe più fortemente! Direte che sono mie fantasie! Eppure tutto questo mi convince che sulla cura della persona abbiamo ancora molto da imparare! Penso che molti interventi debbano essere ripensati. E forse, a partire dal tema della malattia, per riflettere di più su ogni atteggiamento e intervento che, occupandosi delle persone, potrebbe correre il rischio di non porre attenzione a quello che forse è più prezioso e necessario per il loro vero bene.

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